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Semplice e chiaro il terreno di confronto sul mercato che Sidac ha scelto di praticare: offrire soluzioni nel campo del flexible packaging & labeling, con tempistiche ridotte e prezzi competitivi. E questo grazie a un principio di sostenibilità che abbraccia competenze, mezzi produttivi e ambiente. Parola del DG Luca Mazzotti. Stefano Lavorini

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Era il luglio del 2017 quando, grazie a un’operazione di Private Equity, si annunciava di voler assicurare a Sidac, storica realtà forlivese del settore del packaging flessibile… “un futuro di forte crescita ed espansione”.
A condurla, come promotore oltre che come investitore, fu Orienta Partners che riunì in un Club Deal un gruppo di imprenditori e investitori italiani, nonché il fondo di Obbligazioni Private francese Indigo Capital, e acquistò dal Gruppo ACMAR, in concordato preventivo, il 100% dell’azienda. 

A distanza di poco più di 18 mesi i numeri danno ragione di quanto dichiarato in premessa: fatturato 2018 di 30,8 milioni di euro in aumento del 13,4% rispetto all’esercizio precedente, produzione in crescita del 18,1%.
Numeri di per sé buoni, che si possono considerare ottimi alla luce dello scenario in cui sono maturati. L’anno appena concluso è infatti il primo a piena conduzione della nuova compagine societaria che, proprio durante il 2018, ha dato il via a una serie di investimenti in macchinari e informatizzazione del reparto logistico.
Sono stati fatti, quindi, una serie di interventi straordinari all’interno dei reparti senza compromettere la capacità produttiva.

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Lacrime, sangue e… sorrisi
«Fondata nel 1929 dal Conte Paolo Orsi Mangelli, nel 2005 la Sidac era in crisi e doveva chiudere i battenti: perdeva 3 milioni di euro l’anno, con un fatturato di circa 18 milioni di euro». Esordisce così il direttore generale Luca Mazzotti, mentre mi mostra i lavori in corso nell’azienda.
«Venni chiamato dai proprietari di allora per fare un tentativo estremo di salvataggio: accettai la sfida e avviai un processo generale di ristrutturazione che nel giro di quattro anni ha riportato la società a fare utili e investimenti. Per prima cosa acquistammo un’accoppiatrice, che abbiamo già rivenduto e sostituito con una nuova; successivamente abbiamo aggiornato una delle due linee di stampa rotocalco, sostituendo tutta l’elettronica. E poi... non ci siamo più fermati».

Oggi la situazione è in effetti completamente diversa, dinamica e positiva: il reparto di accoppiamento, allo stato dell’arte, ha 5 macchine duplex Nordmeccanica, di cui l’ultima installata a fine 2018, che operano in ambiente a contaminazione controllata, con doppie porte, aria in pressione positiva, climatizzazione costante per permettere la corretta reticolazione della colla ecc.
«D’altronde, la fase di accoppiamento dei materiali flessibile negli anni è diventata sempre più importante, anche rispetto alla stampa, soprattutto quando si tratta di strutture complesse» sottolinea Mazzotti.
«Non abbiamo lesinato e abbiamo scelto macchine accoppiatrici duplex, considerando i lotti produttivi sempre più ridotti che ci vengono richiesti, in particolare, dalle private label».
D’altronde, il vantaggio di Sidac sembra essere proprio nella diversificazione delle lavorazioni e dell’offerta: dalle strutture semplici, agli accoppiati triplici e quadruplici, ai materiali pastorizzabili o sterilizzabili.
E non solo, perché Sidac significa anche etichette roll feed e sleeve, sia stretch che shrink: una vera e propria divisone che genera un fatturato di circa 4 milioni di euro, in robusta crescita.

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Roto o flexo, purché “sostenibili”
Sidac è una delle poche aziende italiane che in un unico plant ha la doppia tecnologia di stampa. È stata appena installata (a inizio 2019) una nuova rotocalco Rotomec a dieci colori, che affianca 2 linee Schiavi, a nove e otto colori, ma non mancano anche 2 recenti macchine flexo a otto e dieci colori.
E qui veniamo alla vexata quaestio che, su mia provocazione, Mazzotti affronta di petto.

«A mio avviso, la qualità in flexo costa più della qualità in roto. Per questo andrebbero riviste le pratiche di vendita del packaging flessibile: se un end user vuole il prezzo (più basso) deve essere pronto poi a non contestare le minime imperfezioni. E invece è d’uso “vendere” la stampa flexo a prezzi più bassi della roto, anche quando si chiede elevata qualità o lunghe tirature. Ci sarebbe bisogno di maggior chiarezza».

Sta di fatto che il cliente ha sempre l’ultima parola e il converter ha il compito di fare al meglio il proprio lavoro, anche in termini di rispetto dell’ambiente.
Proprio per questo Sidac si è dotata, da quattro anni, di un bell’impianto di recupero solventi (sei milioni di euro di investimento) con 3 colonne di distillazione, che permettono di recuperare non solo l’acetato di etile ma anche gli alcoli della flexo. «Recuperiamo tutto - sintetizza Mazzotti - quindi anche a livello green siamo messi bene».

Work in progress
Lo stabilimento Sidac occupa un’area di 25 mila metri quadrati, di cui circa 13mila coperti e in questo momento molti spazi si presentano come un cantiere: sta cambiando un po’ tutto.
Per non farsi mancare niente, sono state riorganizzate e ristrutturate le aree dedicate, da una parte, al magazzino compattabile dei semi-lavorati e, dall’altra, allo stoccaggio dei cilindri in transito (il vero e proprio magazzino per circa 16 mila cilindri è infatti esterno), come spiega la mia “guida”.

«Stiamo aumentando la capacità di stoccaggio - racconta Mazzotti - per far fronte alle esigenze future. Ma altri importanti interventi riguardano la logistica del reparto taglio, ovvero la disposizione delle quattro macchine di cui disponiamo, l’ultima delle quali in fase di installazione: stiamo cambiando completamente i flussi, per renderli più veloci, più dinamici, più facili.
I dipendenti sono 120, comprese 6 persone del laboratorio di controllo qualità, ma stiamo assumendo nuovo personale per far sì  che tutto funzioni al meglio, evitando inefficienze dovute a mancanza di materiali o sovrapposizioni di mansioni».
 

Luca Mazzotti

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